IL CHE

«Tra voi c’è un economista?». Fidel Castro aveva convocato i suoi fedelissimi nell’attico dell’hotel Tryp Habana Libre, suo quartier generale.
Un gran pranzo a base di maialino da latte marinato e arrostito, servito con banane cotte e platano: il suo piatto preferito. Da circa due anni Fidel e i suoi avevano preso Cuba, ed ora occorreva amministrarla. I primi tempi, con l’entusiasmo per la vittoria, sulle ali di una libertà conquistata dopo tanti anni di dittatura opprimente, tutto sembrava facile. Ma ora il passaggio all’autogestione del popolo, ancorché guidato da un leader carismatico e amatissimo, si stava rivelando problematico. Dal mondo ricco non entravano più quattrini freschi, le risorse interne erano limitate, il reddito delle famiglie scendeva invece di crescere. Insomma, serviva qualcuno che capisse di economia e finanza, ma che al tempo stesso custodisse dentro di sé il seme della rivoluzione. Ecco il motivo per il quale Fidel aveva riunito la sua cerchia e aveva chiesto: «Tra voi c’è un economista?».

«Io» rispose convinto Ernesto Che Guevara. E poi si guardò intorno. Possibile che soltanto lui avesse alzato la mano? Che ne avevano fatto degli ideali rivoluzionari? Si erano forse già dissolti di fronte alle prime difficoltà?

Il fatto è che il Che, anziché “economista”, aveva capito “comunista”. Per questo gli pareva strano di essere l’unico con la mano alzata. Oltretutto era stato anche l’unico a non toccare il maialino: non che fosse vegetariano, semplicemente considerava un infanticidio sopprimere un cucciolo, nato da poche settimane, che ancora poppava il latte dalla mamma.

“Strano”, pensò Fidel, sapeva che Ernesto era medico, ma chissà, magari in Argentina aveva compiuto anche studi di economia. Poteva essere, quel ragazzo era pieno di sorprese. E poi, se aveva alzato la mano, un motivo doveva esserci, no? Perciò Fidel non perse altro tempo, e con un caloroso brindisi – rum stravecchio, ovviamente – lo nominò seduta stante ministro dell’Economia e dell’Industria.

Il Che accettò la sfida attorniandosi di consulenti che venivano dai Paesi comunisti, in particolare dall’URSS. Assunse professori di matematica e di economia, si mise sotto con lo studio. «Lo vedevo distrutto dalla fatica a fine giornata» disse Salvator Vilaseca, il suo insegnante di matematica «ma ancora capace di passare alcune ore della notte a studiare seduto con le gambe incrociate sul pavimento, nel tentativo di non addormentarsi».

A forza di stare lì con le gambe incrociate, il Che comprese che un’economia imperniata su di un solo prodotto (lo zucchero di canna) non poteva reggere, dunque occorreva differenziare. Individuò nella chimica e nell’elettronica i nuovi settori su cui costruire un’economia diversificata. E poi quell’alleanza strategica con i russi gli piaceva ogni giorno di meno.

Ma Fidel non era dello stesso avviso. Ratificò con i sovietici l’accordo sui missili, che presto sarebbero stati installati sull’isola e, in seguito, avrebbero quasi scatenato una guerra nucleare, e costrinse il Che a rivedere le sue posizioni, inducendolo a tornare alla mono-economia della canna da zucchero. Fu allora che il ministro prese la decisione di ritirarsi e scomparve dalla scena cubana, convinto che fosse giunto il momento di riprendere il suo cammino per la liberazione dei popoli oppressi.

In Bolivia cercò di fare la rivoluzione sul modello cubano, e stavolta il capo era lui. Sappiamo come andò a finire. Lo uccisero e Che Guevara entrò nel mito.
Ci entrò con la purezza dei suoi ideali intatti. Non c’era calcolo nelle sue pirotecniche avventure, ma neppure confusione. C’era piuttosto un’aura (quasi magica) di eroismo che germogliava dal suo calore umano, dal desiderio di cambiare il mondo e di intervenire in soccorso degli oppressi, dalla necessità di provarci fino alla fine. C’era della tenerezza, anche.

Guardatela nei suoi occhi la tenerezza, combinatela con quella ruga di concentrazione sulla fronte. Infine aggiungete la spavalderia con cui imbocca il sigaro. Succede a volte che un’immagine valga più di un racconto.

 

 

Rene Burri
Che Guevara
Cuba, 1963

 

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